
“Baculum”, ovvero “bastone”. Niente più, niente meno.
La parola di per se non ispira voli pindarici né iperboliche trame filosofiche evoluzionistiche… Forse…
Molte parole di uso comune devono la loro origine all’innocuo arnese, non solo nella nostra lingua.
Si legava il giovane agnello ancora lattante al palo, a Roma; lo si assicurava “ad baculum” per non farlo fuggire. Di qui l’”abbacchio”, e i derivati che rappresentano l’animus certo non gaio del povero animaletto legato al ceppo che attende solo il fendente del “lanius”, ovvero del macellaio (da cui il verbo “dilaniare”): l’aggettivo “abbacchiato” rende bene l’idea. Tuttavia s’impone una precisazione: all’abbacchio romano non era affidata la funzione onorifica di “capro espiatorio”, e la sua morte non era un viatico per aggraziarsi il favore degli dei durante i riti. Questa consuetudine é puramente giudaica.
Anche la forma oblunga del quel tipico pane francese croccante che si chiama “baguette” richiama proprio nell’immaginario un piccolo bastoncino, in effetti.
Allo stesso modo chi non ricorda le immagini al microscopio di quegli esserini esanimi spesso incatenati l’uno all’altro come una striscia di stecchi, che popolavano i libri di biologia… I batteri, ovvero i “bacilli”, appunto, letteralmente “bastoncini”.
Sempre in biologia, il “baculum” é sic et simpliciter l’osso del pene.
Niente di trascendente, finora. Per accendere l’immaginazione e avviarla verso l’implicazione “evoluzionistica” del “baculum” a cui si accennava all’inizio occorrono ancora due tasselli fondamentali: la scena evocativa di un film leggendario e un epiteto dispregiativo abbastanza sgradevole, ancorché di uso comune.
Partiamo dalla scena del film: L’opera é “2001. Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick. Un gruppo di primati alle prese con l’efferata lotta quotidiana per la sopravvivenza s’assembra intorno ad una pozza d’acqua, in un paesaggio desertico, avventandosi di tanto in tanto contro il branco rivale. É tutto un caotico rutilare di ruggiti ferini, urla primordiali, sino a quando un monolito con forma di parallelepipedo fa la sua comparsa al centro della scena. Gli ominidi si radunano attorno al misterioso oggetto, incuriositi dalla sua strana forma, e ne restano subito infatuati. Uno di loro, illuminato da una misteriosa subitanea saggezza impartitagli dal mistico monolito, si munisce di un osso oblungo, lo usa subito come un bastone per eliminare il maschio alfa del branco rivale, decretando così la sua supremazia sul gruppo di quadrupedi finalmente rappacificati sotto il suo comando.
Il nuovo maschio alfa scaglia l’osso verso il cielo. La gnosi é discesa sugli uomini inculcando in loro lo scatto evolutivo necessario per proliferare e popolare la terra. Utilizzare il bastone contro i propri simili, uccidere, imporre la supremazia di un gruppo sull’altro tramite l’uso strumentale della violenza. Questi i comandamenti che l’illuminazione evolutiva del monolito ha imposto ai primati.
L’osso lanciato in aria continua a roteare per un poco, poi sparisce e al suo posto compare un’astronave dalla forma oblunga che ricorda vagamente quella dell’osso – bastone, a volteggiare sospesa nello spazio infinito.
La più famosa “ellissi” della storia del cinema.
Il regista decide di omettere “tout court” la millenaria storia dell’uomo, proiettando lo spettatore direttamene dall’era preistorica al futuro intergalattico, cestinando quanto nel corso dei millenni é intercorso, poiché espressione di una ripetizione infinita del medesimo schema: la sopraffazione. Non c’é nient’altro di rilevante da raccontare. L’uomo non ha fatto altro che perpetrare la violenza sui suoi simili. Si é fermato al primo scalino della sua avventura evolutiva, il bastone, e l’unica differenza rilevante da riportare nel racconto é l’evoluzione dello strumento della sopraffazione: l’osso – bastone é divenuto astronave; e i passaggi intermedi di questa metamorfosi dell’oggetto non sono che fenomenologie del medesimo assunto: dal tirso di Dioniso al bastone degli sciamani, dallo scettro dei re al pastorale dei pontefici, persino le più spirituali, taumaturgiche, sacre declinazioni del concetto “bastone”, non sono in definitiva che un unico retaggio atavico di quel primo osso – bastone che uccide.
Ed ora l’epiteto dispregiativo d’uso comune: la parola “imbecille”, anch’essa deriva direttamente dal “baculum” latino. “In (negazione) – baculum” vuol dire appunto “senza bastone”. In senso lato potremmo dire che “imbecille” vuol dire “debole, fragile, incapace di offendere e difendere”. In ultima analisi “in-evoluto”. E infatti l’accezione comune del termine, oggi, é proprio questa: stupido, incapace.
Ed eccoci allora giunti a noi, ovvero all’”argomentum ad baculum” per antonomasia che imperversa in questi giorni: “Si vis pacem, para bellum”.
Sono questi i giorni nei quali i leaders di un’Europa trascinata per i capelli dentro i piani di riarmo Nato sembrano non poter offrire nient’altro alla pubblica opinione, a giustificazione delle loro scelleratezze, se non questo broccardo perentorio e controverso: “se vuoi la pace, prepara la guerra”.
Insomma, pare evidente che il super accessoriato ”homo technologicus”, che ha cumulato una serie infinita di evoluzioni di quell’originario “bastone che uccide”, sino a giungere alla ragguardevole prestigiosa impresa d’aver disseminato il pianeta di ben 12.241 testate nucleari, non sia ancora riuscito a muovere un passo nella scala evolutiva della specie.
Siamo proprio sicuri che, tenendo sempre a mente che basterebbe l’esplosione di una cinquantina di quegli ordigni ad estinguere la specie, gli “imbecilli”, nell’accezione moderna del termine, siano ancora quegli ominidi sprovvisti di bastone?