Figlio del cielo
“Figlio del cielo” è un romanzo storico di formazione estrapolato da un’opera assai più complessa e corposa ancora incompiuta, della quale non é che un capitolo. É stato ideato e scritto a Singapore fra gennaio e aprile del 2021. Il romanzo é liberamente tratto da fatti storici realmente accaduti.
Personaggi principali
- Qin Shi Huangdi, Primo imperatore Cinese, capostipite della dinastia Qin, già sovrano dello stato combattente di Qin, con il nome di Jing Zheng.
- Li Si, suo Cancelliere, Consigliere e Ministro.
- Lu Buwei, Ministro Reggente dello stato di Qin prima della investitura del primo Imperatore.
- Altri personaggi tra cui Generali d’armata ed esponenti dell’esercito, intellettuali, artisti, eunuchi

Ambientazione
La storia si svolge prevalentemente all’interno del palazzo reale di Xianyang, capitale dello regno di Qin, nell’antica Cina, durante la fase storica pre-imperiale dei cosiddetti “Stati combattenti” (seconda metà del terzo secolo Avanti Cristo).
Più specificamente l’opera ripercorre eventi che accadono fra l’anno 247 e il 210 a.C.
Altre ambientazioni sono inscenate presso la città di Pingyang, nello stato di Zhao, appena espugnata dall’esercito Qin a seguito di un lungo assedio, ancora presso l’estuario del fiume Qiantang, nella Cina nord- orientale e infine all’interno della torre di guardia del distretto militare di Jiuyuan, città appartenente alla odierna regione autonoma della Mongolia Interna.
Trama
Il romanzo é incentrato sulla parabola esistenziale del personaggio Li Si, giovane e ambizioso scriba proveniente dalla scuola dottrinale legista di Chu che approda alla corte del Palazzo Reale di Xianyang, capitale dello stato combattente di Qin. In particolare sono oggetto di approfondimento il suo controverso rapporto di reciproca influenza che intreccia con il giovanissimo sovrano appena investito, nonché le conseguenze che tale rapporto innesca sulle sanguinose vicende che di lì a poco condurranno lo stato di Qin prima alla conquista degli altri stati combattenti e all’unificazione di tutta la Cina, e in seguito alla instaurazione di un potere centralizzato dispotico e teocratico. La storia dei due personaggi raccoglie le suggestioni culturali, filosofiche, nonché gli intricati intrecci storici nei quali la vicenda s’innesta: il fermento culturale del periodo pre-imperiale, cosiddetto delle “cento scuole dottrinali”, la straordinaria varietà filosofica, artistica, scientifica che sembra preludere ad un’esplosione “umanistica”, ma anche l’aridità ed il depauperamento che i metodi dispotici e le repressioni sanguinarie del Primo Imperatore imprimono sul nuovo corso storico.

Offriamo alla lettura qui di seguito il capitolo primo dell’opera
Il pensiero unico
Palazzo Reale di Xianyang, 213 a.c.
Padre Nostro, Figlio del Cielo, Nostro Huangdi.
Animati da spirito di obbedienza noi, tuoi sudditi,
Governatori uniti della Provincia imperiale di Chu,
ti rendiamo omaggio porgendoti i nostri ossequi.
Come consuetudine, contate dodici nuove lune
dal dí della nostra ultima missiva,
ci accingiamo a renderti onesto e dovizioso resoconto
della nostra congiunta amministrazione,
illuminata e sorretta dal tuo divino consiglio,
il quale ci mostra oggi la via del nostro operare,
e spiega dalle mani il segno
che la volontà tua ha saputo indicare.
Il Maestro disse: “Chi governa con virtù
riluce del bagliore della stella polare,
quando tutte le altre stelle le fanno corona”.
Similmente noi siamo a te minuti astri rilucenti di bagliore riflesso,
e come tali ci rimettiamo alla tua sapienza,
quali imperfetti strumenti del tuo illuminato governo.”
- Non ti ho ordinato di leggermi tutta la missiva, mio buon Li Si. E non ho nessuna intenzione di soccombere al tedio della contabilità di stato, né di dedicare alle scartoffie dei codici quel che resta del giorno. Ti chiesi di darmi in sommi capi lo stato di attuazione delle mie impartizioni. Questo, si, mi sarebbe gradito.
Il Ministro, dopo un attimo di esitazione, fa per sciogliere un succinto ragguaglio, ma é subito interrotto.
- E d’altronde, dopo aver ascoltato questo dotto proemio, non credo che sarà più necessario.
Leva la mano e con un gesto rapido licenzia i due eunuchi che hanno appena servito lo huangjiu nei vasi di ceramica. La bevanda ambrata rilascia un piacevole aroma di miglio fermentato.
- “Chi governa con virtù riluce del bagliore della stella polare, quando tutte le altre stelle le fanno corona”.
L’Imperatore si leva dal seggio ligneo e porta le mani giunte sotto l’addome, dando agio alle pregiatissime volute del ricamo sulle maniche di unirsi in un fastoso disegno unitario: i possenti dragoni aurei risalgono ora con artigli rampanti le grandi anse di seta nera che gli fasciano le braccia.
- Ti ho letto le prime righe della missiva, Huangdi, proprio per darti conto di quanto tu, mi pare, hai già avuto modo di apprendere…
Aggiunge il Ministro con tremula inquietudine.
L’Imperatore estrae un rotolo dalla grande teca intarsiata. Raggiunge il tavolo al centro della sala del trono e lascia che l’involto si dispieghi sul piano di radica scura, rivelando gli ideogrammi vergati sul dorso dei leggeri listelli di bambù, tenuti insieme alle due estremità da modesti fili di tessuto nero intrecciato.
Legge ora a voce alta:
- Chi K’ang Tsû domandò: «Saggio Maestro. Come si fa per trarre il popolo alla riverenza e alla fedeltà?» Il Maestro rispose: «Avvicinati a lui con dignità ed esso sarà rispettoso; sii un sovrano pietoso e gentile e ti resterà fedele.»
Riavvolge il rotolo e commenta con dimessa indolenza:
- Il venerabile maestro Kong-fuzi ha saputo entrare sin dentro le carni dei nostri sudditi con la sua parola dignitosa e gentile, che vi é discesa lieve e suadente, come la neve.
- La sua parola, Huangdi, ha avuto tutto il tempo di abitare i loro cuori. Vi ha rilasciato i suoi sedimenti, affondandovi salde radici nel corso degli ultimi trecento anni.
- Chi sono io, dunque, per pretendere di divellere una radice tanto forte e salda? Sono io forse Qin Shi Huangdi?
Sorride ora d’un ghigno ineffabile, che rende amaro il cuore del suo Ministro, il quale ben conosce il rilucere di quel bagliore sinistro; è il barlume della follia, che gli accende le pupille di onnipotente vigore.
- Huangdi, le pire ardono presso ciascuno dei capoluoghi delle sei provincie da diverse settimane oramai. Da ogni angolo dell’Impero carri carichi di rotoli e sigilli convergono presso le pubbliche piazze, riversandovi quanto hanno rastrellato nelle scuole…
- … Eppure ancora i miei funzionari hanno l’ardire di gettarmi in faccia le loro citazioni dotte!
Grida e si ricompone in fretta, l’Imperatore, passandosi la mano sul mento e facendo scorrere la lunga barba fra le dita serrate. Poi riprende indulgente a sciogliere il suo pensiero:
- Credi davvero che io ritenga di poter gettare alle fiamme la nostra identità, la sapienza dei nostri avi, e così facendo di poterne cancellare il prezioso lascito dalle nostre coscienze? Per quale motivo, secondo te, mi sarei preoccupato di munire le teche del Palazzo di ben duecento nuovi vani di forte rovere, se non per preservare almeno una copia di ciascuno dei rotoli prelevati dalle nostre province?
Un sorriso di sollievo irradia il volto del Ministro, che é costretto a nascondere lo sguardo dentro le raffinate decorazioni ambrate che impreziosiscono la lucida pietra del pavimento per mal celare la sua debolezza, la quale deve essere certo una conseguenza poco onorevole dell’età. Quindi sommessamente precisa:
- L’editto prescrisse di conservare solo quanto materialmente potesse essere utile al consolidamento del Pensiero Unico: i testi di argomento tecnico, scientifico, medico, sapienziale… E di dare alle fiamme tutto il resto…
- So bene cosa prescrisse l’editto. E così sia dunque agli occhi del popolo!
- Stai dicendo, Huangdi, che…
- Sono io il Pensiero unico, Li Si. Tutte le dottrine, anche quelle del Maestro Kong-fuzi, del saggio Lao-tzu, finanche i mitologici fervori dei Tre Sovrani e dei leggendari Re-saggi e perfetti sono presso di me, sono salvi e vivi come io vivo sono. Resteranno con me nel Palazzo, e tu sei il solo dignitario di questa reggenza ad esserne stato messo a parte.
Il Ministro si china ora in segno di gratitudine e deferenza.
- Tuttavia ancora l’inquietudine mi abbranca l’anima, e temo che solo il mio savio Ministro potrà disserrare le sue spire…
- Chiedimi pure dunque, Huangdi.
- Come si fa per trarre il popolo alla riverenza e alla fedeltà… Maestro?
- Con il fuoco, con la spada, con il sangue, mio Signore.
- Mi fa specie che io debba con il rostro puntato sollecitare l’attuazione del tuo piano, Li Si. Non fosti tu stesso a proporre l’abolizione delle scuole di dottrina e l’elezione del pensiero legista a scienza di stato?
- É vero, questo è quanto proposi. Tuttavia ogni giorno ricevo notizia di esecrabili episodi di abusi compiuti dalle nostre milizie… Esponenti delle scuole dottrinali sono uccisi, molti intellettuali massacrati o sepolti vivi. Non ritieni che sarebbe altrettanto eloquente della tua grandezza punire gli ufficiali che hanno perpetrato questi abomini, mostrando al popolo la tua indulgenza, e assicurando una giustizia equa e giusta? Ti informo che io stesso convocai due settimane fa il nostro governatore militare dal distretto di Luoyang.
- Lo so; l’ho congedato io, stamattina.
Un lampo di orrore scompone i tratti severi del Ministro in una smorfia impressionante:
- Huangdi, egli ha mozzato il capo a un magistrato locale perché aveva lasciato libero un maestro calligrafo accusato di furto, presto dichiarato innocente! Ha ucciso inoltre il calligrafo, e altri dieci suoi amanuensi… E a giustificazione di tali efferatezze il governatore ha addotto che gli scribi non si erano ancora conformati al nuovo codice dai caratteri semplificati che hai imposto con l’editto. Questo é troppo, Huangdi!
- Hai ragione, sarebbe stata senz’altro una punizione troppo severa se si fosse trattato di un piccolo furto. Quale atroce pena ha comminato il nostro funzionario al povero maestro calligrafo! Un piccolo scriba accusato di furto presto dichiarato innocente…
L’Imperatore scuote il capo. Un servo s’accosta a lui dopo un cenno di riverenza, e gli porge il panno per l’abluzione.
- Il maestro calligrafo era innocente, Li Si. Non si era infatti macchiato del reato. Egli non aveva sottratto, con il favore del buio, dalla biblioteca, gli undici rotoli che contenevano gli estratti del Lún Yû, e che sono stati trovati in suo possesso, presso la sua abitazione. Si, questo reato in principio gli era stato contestato. E tuttavia egli non aveva rubato! E sai come son certo che egli non ha rubato?
- Non saprei dire, Huangdi.
- Perché non ne ha avuto bisogno! I rotoli appartenevano proprio al tuo onesto calligrafo; lui stesso aveva infatti acquistato la seta e il bambù per approntarli, dopo di che, dopo averli accomodati, vi ha riportato scrupolosamente, versetto per versetto, parola per parola, i frammenti dell’unico rotolo in possesso della biblioteca, replicandolo in ben undici copie manoscritte; delle quali una l’avrebbe trattenuta, e le altre dieci le avrebbe distribuite ai suoi collaboratori, allo scopo di occultarle e sottrarle alla confisca; questi le avrebbero ritirate proprio il giorno successivo rispetto al loro rinvenimento, presso la casa del calligrafo.
Il Ministro è oramai sopraffatto dalla contrizione. Il servo appronta ora presso l’Imperatore il busto dell’armatura stringendo i lacci delle lamelle di cuoio.
- In ultimo, Li Si, é vero. I codici erano stati da lui trascritti utilizzando gli hànzi dell’ antica tradizione, secondo gli stilemi che tu stesso hai bandito, e quindi in aperta contravvenzione al tuo recente editto… Ma questo non é che un dettaglio, a fronte di quanto ti ho testé rivelato, non trovi?
- Ero all’oscuro di queste implicazioni, Huangdi. Come sempre la tua divina ispirazione…
- Non fu l’ispirazione tratta dalla mia divina essenza a ragguagliarmi, bensì quel governatore militare che tu volevi punire, il quale mi informò su come si svolsero i fatti!
L’Imperatore é scaltro e sagace. Egli sonda con lo sguardo le più ascose notti dell’animo degli uomini, e dove altri non vedono egli vi scorge le loro fiacchezze, e le raccoglie, le solleva. Emenda i loro fallaci giudizi, risolve le loro insufficienze. È savio e divino il nostro Huangdi; é terribile e forte il suo braccio, é grande e misericordioso il suo cuore.
- Piangi per quegli uomini, forse, Ministro?
- No, mio signore. Molti anni orsono ti promisi che non avresti mai da questi miei occhi visto correre via una sola lacrima!
- La morte di quegli uomini non fu infruttuosa, Li Si, dal momento che le esecuzioni furono svolte sulla pubblica piazza, alla presenza del popolo ivi adunato. Allo stesso modo sulla piazza gli undici rotoli furono dati alle fiamme, appena terminate le esecuzioni.
- Che ne é stato dell’originale in possesso della biblioteca, dal quale furono ricavate le copie?
Il Ministro stringe nella mano un monile rotondo di bianca giada rilucente, inciso su entrambe le facce con minuti e precisi hánzi dell’antica shúfa. I suoi occhi annegano d’un tratto in liquida emozione, e scioglie la mente sua dolcissimi e profondi luoghi dello spirito, improvvisamente rischiarati dalla smagliante luce del ricordo.
- E questo é appunto l’originale.
L’imperatore solleva le estremità del rotolo che aveva da poco rilasciato sul tavolo, e lo indica al Ministro. Questi, come ridestato da un’infantile incontinenza, quasi ad accogliere un invito tanto sospirato, svolge il rotolo e lo scruta ora con devota concentrazione.
- É anch’esso una copia, in realtà…
Conclude soddisfatto, al termine di una lunga e accurata ispezione,
- …benché antica e prestigiosa, una copia che riporta peraltro numerosi emendamenti al testo originale. Perdona il mio orgasmo, Huangdi, queste tavole mi riconducono ai miei studi giovanili…
E tuttavia sul volto teso dell’Imperatore non resiste alcun residuo di commiserazione. Al contrario, egli schiuma di rabbia.
- Eccolo! Il caposcuola dei legisti, il dotto allievo del nobile Xunzi, il quale non sarebbe certo fiero di queste tue frivolezze! Proprio tu, il Ministro Imperiale, l’incarnazione dei tre principi della conduzione dello stato…
- … Legge, metodo e potere, Huangdi.
- Legge, metodo e potere!
Grida ora l’Imperatore, avvicinandosi minaccioso al Ministro, che china il capo senza tuttavia rinunciare a difendersi.
- Avrai ben compreso, Huangdi, che fui catturato dal fervore di calligrafo e filologo, e che certamente non la parola, ma il modo della parola e le sue suadenti declinazioni mi accesero.
- Il fervore della parola e dei suoi infiniti modi, e in seguito le ombre torve dei pensieri che dalle parole traggono linfa e avvampano lo spirito, e alfine le spire che s’ intrecciano in una solida coscienza e vi depositano l’oro della moralità, mio degno Ministro, non si potranno mai estinguere, ne con cento ne con mille roghi! E infatti non é questo che voglio ottenere.
Ora le sue nere pupille sono grandi e intense.
- Tieni bene a mente dunque, Li Si, quanto ora ti dico: non é la creazione di un Pensiero Unico quello che il Pensiero Unico si prefigge di ottenere. Non pretendo infatti di insinuarmi fin dentro all’ultimo moto dell’anima di un individuo, per scrutarne l’orientamento e nettarla d’ogni idealistica infestazione. Esigo tuttavia abitare in quell’anima in modo preminente, voglio prender dimora presso lo spirito di un popolo intero per altre diecimila generazioni! Non importa se quest’anima sia immacolata, o se conservi ancora il germe del dissenso, purché alfine sia mia!
Il Ministro non ama le impennate della divina onnipotenza che lo spirito del sovrano sovente palesa. Tuttavia resta alla sua presenza con animo dimesso, certo che presto queste intemperanze avranno presto lasciato il proscenio al fine raziocinio che illumina, davvero questo, di divino bagliore lo sciogliersi dei sui pensieri. L’Imperatore sembra sempre ravvedersi dei propri eccessi, é savio e dotto, Huangdi, è lui il nostro destino.
- Noi siamo quanto abbiamo appreso, Li Si, e abbiamo appreso quanto abbiamo scelto. Le nostre scelte da sole alimentano la nostra determinazione. Quando scegliamo siamo liberi come l’astro danzante, travolgenti come la valanga, imprevedibili come il lampo, e dunque pericolosi e ineluttabili, come l’acqua che frantuma la roccia. Due sole sono le mortificazioni che annichiliscono il pensiero e disarmano la coscienza: la mancanza di una scelta e la spada. Quest’ultima precede il pensiero e compie l’atto tragico: dinanzi alla spada che spilla un petto e ne trae dall’interno il suo sangue nero, facendolo zampillare copioso, la coscienza raggela e impietrisce, é vinta dalla suggestione che imbizzarrisce il pensiero, obnubilando la ragione.
- Cosa chiede un’anima, dunque, quand’é avvelenata dal fiele della paura?
- Chiede di essere tratta in salvo. Ha oramai deposto la valutazione, che é lo strumento del discernimento, ha ristabilito la gerarchia delle priorità, ha messo in cima la preservazione della vita come ultimo bastione da difendere. Non ha importanza il modo, a questo punto, quello che l’anima vuole é una soluzione. Il pensiero unico é questa soluzione: soccorre la coscienza, la risolleva e la illude di aver trovato una possibilità di salvezza, quando in realtà la via che ella si accinge a percorrere conduce alla sottomissione, alla disciplina, al rigore. Noi siamo questa via che il nostro popolo si accinge a percorrere, noi siamo la sua liberazione proprio poiché lo soggioghiamo. Il nostro popolo, Li Si, non ha scelta.
Immerso nel fitto silenzio che segue, Il Ministro affoga le sue inquietudini nelle increspature marmoree dell’immenso fregio murale che si staglia regale alle spalle del trono. Moti ondosi e sinuosità dei rilievi bronzei tanto armoniose, tali da indurre a indugiarvi a lungo, con voluttà…
- Dunque non é che una finzione quella che stiamo inscenando, Huangdi…
L’Imperatore rista al centro della sala e ha licenziato ora l’eunuco, che si allontana.
- Una volta un pittore realizzò un dipinto che raffigurava docili e armoniosi giunchi di bambù ondeggianti come fragili steli al vento. Tuttavia quando al Duca di Zhou, che aveva commissionato l’opera, fu dato alfine di vedere la tela, questi andò su tutte le furie: “avevo sentito evocare il tuo nome”, disse al pittore, “e tutti ti consideravano il più celebre fra gli artisti. Per questo ti chiamai a me e ti chiesi di realizzare per me la più grande fra le tue opere, il cui magniloquente splendore esaltasse la mia grandezza, la cui luce illuminasse di gloria la mia discendenza per i secoli a venire. E per tre lunghi anni mangiasti e bevesti i pasti più squisiti ed i nettari più prelibati presso il mio palazzo, e giacesti con le concubine più esperte. Niente ti negai, aspettando il giorno in cui avresti esaudito il mio desiderio. E ora questo misero dipinto con nient’altro se non secchi giunchi di bambù al vento, questo é quanto tu mi rendi!”. Tuttavia il pittore restò impassibile dinanzi al suo potente signore, e senza compunzione alcuna rispose: “poni il dipinto su una finestra esposta verso il mattino, dai lati di otto piedi ciascuno, e poi coprilo con un velo. Domani, alla luce del primo sole, solleverai il velo e vedrai tutta la tua grandezza sovrastare la tua stessa figura. Se ancora non sarai soddisfatto della mia opera, allora ti prenderai la mia vita.” Il Duca fece svuotare la sala più ampia del palazzo. Fece aprire sul muro esposto verso la prima luce del giorno una finestra delle dimensioni che l’artista aveva comandato, vi fece porre il dipinto, e lo fece coprire con un velo scuro. Il mattino seguente, al bagliore nuovo dell’alba, finalmente rimosse il velo. E fu allora che vide la sua grandezza. L’improvvisa fiamma di luce novella incendiò i fragili giunchi gettando dentro la sala lunghe e nere ombre che andarono a sdraiarsi sulle pareti, e tutto s’ animò di forme arcuate e imperiose; comparvero possenti draghi neri dagli affilati artigli a dipanarsi con flessuose movenze sino a fissarsi sui bianchi muri, e serpenti avvinghiati agli alti rami intrecciati, e uccelli scuri d’ogni forma animarono il soffitto, e case, e campi coltivati, e bestie che trainavano carri, e uomini, e molte altre forme ancora assieparono le loro sagome nere tutto intorno, e riempirono la grande sala del Duca. Ed egli scorse infine la sua propria forma come una possente figura d’oscurità ergersi al centro della scena. Fu proprio allora che vide tutta la sua grandezza, e vide che lo sovrastava. E ne ebbe timore. Fece di quella la sua sala del trono. E fece appendere due grandi pire fuori la finestra, cosicché, al calare del sole, le ombre sulle pareti prendessero vita, animate dal tremulo fiammeggiare dei fuochi. Da quel giorno, tutti coloro che entrarono nella sala del trono, finanche i suoi più dotti consiglieri, ebbero timore di lui.
- Dunque questo sarà già sufficiente. Un’ombra…
- Ti ho affidato da molti anni una bianca tela, Ministro. Tuttavia ancora la luce del mattino non lambisce i contorni del dipinto, e la tela non parla…
- Avrei preferito che i nostri sudditi avessero guardato a te con gratitudine, mai con timore.
- Gratitudine e timore sono l’una nell’altro.
- Noi teniamo la spada puntata alla gola dei nostri sudditi, Huangdi.
- Nessuno più di colui che minaccia di toglierla é in realtà in potere di salvare una vita.
- Ricordo i tempi non molto lontani della guerra perpetua, di quanto si agognava la pace allora… La guerra, con i suoi campi sconfinati di battaglie e strepiti d’ armi, la guerra, con la sua lunga scia di sangue che c’imbratta ancora le mani. É finita, Huangdi. La guerra é finita! E tu l’hai vinta!
Il sovrano s’appresta ora ad affacciarsi sulla grande terrazza per ricevere il saluto della guardia che lo attende schierata nell’immenso cortile del Palazzo, nel mezzo del pomeriggio assolato della Capitale. Calza il copricapo imperiale, sormontato dal “Velo delle Stelle”.
- L’ho vinta, io, Li Si, e tu non c’eri. E l’ho vinta anche per te. Quando partii per la guerra ero circondato da quei nemici che in seguito sconfissi, uno dopo l’altro, e che ora riporto a te, come tuoi sudditi.
L’imperatore scosta gli alti paramenti della terrazza.
- Ora, e per diecimila generazioni a venire, dovranno osannare con animo lieto e giulivo me e i miei discendenti. Preparali! Fatti forza, Li Si, bevi il tuo, e anche il mio huangjiu! Servirà a ridarti vigore.
Sparisce dietro ai paramenti, mentre un boato rombante d’ unisoni armamenti, a battere il passo, scuote la terra e la fa tremare, fino alla bocca dello stomaco, fin dentro i suoi recessi fa vibrare l’anima.
Il reggimento saluta il Figlio del Cielo.
Lascia un commento